«Quando gli elefanti combattono, è l’erba che soffre»
La conferenza sulla Siria al Festival del Cinema dei Diritti Umani a Napoli
Qual è il punto di vista di un operatore umanitario nel suo “lavoro sul campo” in un contesto come quello della Siria oggi? Quali sono i temi e le problematiche di un intervento di pace nel conflitto siriano? Cosa possiamo fare, cittadini di questa parte del mondo e di un mondo sempre più “globale”, per concorrere alla fine della guerra e all’instaurazione di possibili e praticabili soluzioni di pace?
Sono questi solo alcuni degli interrogativi e delle questioni affrontate insieme, nel corso della bella e partecipata conferenza, promossa da Medici Senza Frontiere nell’ambito della sesta edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, ospitata nella splendida location del PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) lo scorso 7 dicembre, alla presenza di Maurizio Del Bufalo, coordinatore del Festival, Carlo Mattei e Luca Farina, del nodo napoletano di MSF, Gianmarco Pisa, segretario dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Rete CCP, ed Anna Nava, neuro-psicologa di MSF.
La lettura che può dare un operatore di pace nonviolento della guerra, come si è detto: civile e per procura, in corso in Siria almeno dall’estate 2011, non può prescindere da alcuni punti di riferimento cruciali: lo sforzo di “abitare” consapevolmente il conflitto, la volontà di “situarsi” sempre e comunque dalla parte delle vittime e dei più esposti, l’esigenza di coglierne la complessità, perché tanti sono gli attori in campo, innumerevoli le contraddizioni che vi si sviluppano e sempre cangianti gli scenari, le precipitazioni e le situazioni che vi si vengono, a mano a mano, configurando.
In Siria la guerra è in corso: è alimentata da forze interne ed esterne; è condizionata dal gioco degli interessi strategici degli attori regionali e delle potenze globali che si muovono sul complesso sfondo dello scacchiere medio-orientale; incide pesantemente in un contesto multi-culturale e multi-confessionale, con tutto ciò che la violenza settaria può rappresentare in uno scenario del genere.
Questa “composizione del conflitto” chiama in causa molti aspetti. La guerra in Siria conserva aspetti tipici delle “nuove guerre”, i cosiddetti conflitti etno-politici del nostro tempo, ma si muove anche in uno scenario di riferimento, per certi aspetti, nuovo e sfrangiato, anche in considerazione del fallimento delle mobilitazioni libertarie che avevano contrassegnato le c. d. “Primavere Arabe”.
Anche sulla Siria abbiamo assistito alla manipolazione delle informazioni e alla irreggimentazione delle opinioni pubbliche, con svariati tentativi di mistificazione della realtà sul campo ed un aperto tentativo di costruzione di una vera e propria “immagine del nemico” per preparare le opinioni pubbliche a quella che, ad un certo punto, sembrava una sempre più imminente campagna militare.
Ma abbiamo assistito anche, soprattutto nella filigrana della tragedia libica, al fallimento della c. d. “dottrina” della R2P, la “responsabilità di proteggere”, che proprio in Libia ha celebrato il proprio funerale, quando una scandalosa risoluzione delle Nazioni Unite ha dato di fatto mandato ad una piccola coalizione occidentale di intervenire militarmente, con una vera e propria aggressione aerea, non certo per ripristinare lo stato di diritto e salvaguardare i diritti umani, bensì per scalzare un governo al potere e precipitare il Paese, al netto degli interessi strategici da difendere, nella guerra civile permanente, nella guerra di bande, come pure nel caos e nell’oscurantismo più sconvolgenti.
La Siria ci interroga: mette a nudo i limiti del cosiddetto “consenso internazionale” intorno alla tutela della pace e della sicurezza internazionale, rilancia i principi fondamentali della auto-determinazione e della non ingerenza nell’organizzazione della c. d. “comunità internazionale”, richiama la nostra attenzione dalla parte delle vittime, oggi prese nella tenaglia tra le operazioni militari sul campo e l’espansione di un certo islamismo radicale; a sostegno di quei percorsi nonviolenti di riconciliazione dal basso che esperienze siriane, come quella di Mussalaha, stanno provando da mesi ormai, faticosamente e spesso nel silenzio internazionale, a mettere in campo.