Napoli, 14 novembre 2011 – settimo  giorno di Festival

Emilio Garcia Mendez, un vero maestro di strada.

La giornata è di quelle bellissime autunnali, col fresco e il sole chiaro che illumina Napoli e nei vicoli si sente il profumo del caffè e delle sfogliatelle. Via Tribunali, come sempre quando c’è il bel tempo, sembra un mercato e san Gregorio Armeno è all’opera coi pastori e le bancarelle che spuntano come funghi. Il professor Garcia Mendez ha appena preso il caffè, guarda questi uomini che inchiodano banchi e sorride soddisfatto alla moglie: stiamo attraversando il Decumano per andare ad aprire la seconda settimana di festival, quella degli eventi tematici e internazionali in cui faremo i fuochi finali. Alla facoltà di Sociologia della Federico II ci attende il prof. Ventrone per un’anteprima dell’incontro che avremo nel pomeriggio a Giurisprudenza, poi via di corsa per vedere le ultime installazioni del Forum e della sala Sisto V. Il festival è un pullulare di piccoli gruppi di registi, di staff e di tecnici che provano microfoni, proiettano film digitali per provare le compatibilità degli impianti e smanettano con affanno mentre la gente entra nelle sale, anche il cinema Astra si prepara alla prima serata di concorso, quest’anno i film sono formidabili dice Antonio Borrelli. Ma il prof Garcia Mendez, il difensore dei ragazzi argentini e di tutto il Sudamerica  e la sua signora continuano a camminare lentamente nella strada lastricata di basalto, sussurrano impressioni sulla città e si fermano sotto la guida discreta di Giovanni Carbone e guardare le vetrine degli artigiani.

Dodici ergastoli comminati a dodici ragazzi argentini, subito dopo la fine della dittatura, poi improvvisamente, nel 2002, questo scempio si ferma, ma non è un miracolo, è sempre lui, Emilio Garcia Mendez, che con le sue mani nude difende questa gioventù bruciata dalla violenza di Stato. Gli basta pubblicare le 12 sentenze con una paginetta di introduzione in cui ricorda che Picasso, guardando il suo quadro Guernica, rispose ai nazisti “io l’ho dipinto, ma voi lo avete fatto” e lui non fa altro che far vedere al mondo intero cosa contengono quelle 12 vergognose sentenze. Un avvocato artista che sa dipingere la realtà con poche battute, che ironizza sul giudice più famoso d’Argentina, Raul Zaffaroni, dicendo che è un suo amico, ma che non conosce il fair play e che impedisce la demolizione del duro lascito testamentario dei generali argentini. La sua considerazione sui progressisti argentini fa venire i brividi: secondo Emilio c’è un’incapacità cronica a processare serenamente le responsabilità dei colpevoli perché vent’anni di spionaggio  e di inganno pubblico (l’apparire della normalità e il baratro della violenza segreta di Stato) hanno reso gli argentini incapaci di seguire la strada diritta che porta alla verità. Punire i responsabili vuol dire assumere, a nostra volta, delle responsabilità e di questo gli argentini non sono più capaci. Ammetto che questa sua rivelazione stride con gli ergastoli comminati, solo venti giorni fa, ai carnefici dell’ESMA eppure sento nelle sue parole l’ansia di chi vorrebbe il proprio Paese privo dei fantasmi del passato, ma che sa bene che non basteranno altri venti anni a pulire i segni di queste violenze perpetrate da quegli stessi uomini che, in nome dello Stato e dell’interesse comune, hanno sterminato trentamila ragazzi inermi, colpevoli solo di aver sognato una società più giusta. Non abbiamo cancellato la Shoah, non dimenticheremo la storia dell’ESMA e il suo odio per tutti i giovani che ritroviamo, ancora oggi, nelle leggi inique per i minori più poveri e ribelli.

Il professor Moccia, anfitrione di questa serata accademica nel cuore della Federico II, ascolta questa dura requisitoria, con il suo consueto garbo, e incassa i complimenti  che Emilio aveva conservato per lui in tutti questi anni. Forse neppure lui immaginava che stasera a Napoli fosse approdata un’Argentina meno convinta dell’evoluzione del neoperonismo, ma più consapevole del persistere di ambigui comportamenti politici  che ancora avvelenano quell’angolo di Sudamerica.

È stata per tutti noi una lezione magistrale, di vita, non solo di diritto, il racconto di una resistenza solitaria e non egoista di un amico dei ragazzi di strada. Il Festival, come sempre,  è qui.

Maurizio Del Bufalo