Se dovessimo tornare sui nostri passi, questa ultima impresa della Rete del Caffè Sospeso sarebbe da sconsigliare perché apparentemente impossibile, concepita a partire dallo scenario mediorientale in uno dei momenti più drammatici degli ultimi trent’anni, nel cuore di un conflitto, quello israelo palestinese, che si annuncia foriero di conseguenze dolorose nel lungo periodo. Al centro della “missione impossibile” che ci eravamo dati c’era l’Iran, un Paese di straordinarie tradizioni culturali che, anche nel campo cinematografico, ottiene risultati eccellenti e gode di fama indiscussa, ma c’era anche il macigno delle relazioni internazionali che sono ormai ingessate dal terrore della guerra e delle incursioni aeree israeliane che ignorano i limiti del diritto internazionale. Ciononostante ci abbiamo provato e, alla fine, abbiamo compiuto la nostra missione.

Nel nostro Festival, da almeno sei anni, l’Iran è presente con decine e decine di lavori che vanno dal documentario alla fiction, proponendo anche ottime animazioni e storie dal profondo contenuto umano. Dal punto di vista dei Diritti Umani, è noto che il regime degli ayatollah, che governa dal 1979 il Paese, non fa sconti ai dissidenti e a coloro che manifestano comportamenti non conformi al credo coranico, interpretato spesso con estremo rigore. Esemplare è la difficile situazione delle donne e degli omosessuali su cui si scaricano le contraddizioni dell’agire politico influenzato dalla religione, a cui spesso fanno seguito pesanti condanne e, talvolta, esecuzioni capitali. Ed è altrettanto evidente che, in casi come questi, la nostra Rete del Caffè Sospeso, nata dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli per ascoltare gli intellettuali in difficoltà nel loro Paese, trova la sua ragion d’essere e deve offrire una sponda a coloro che non possono liberamente esprimersi e che, per farlo, rischiano la propria libertà o, addirittura, la propria vita.

Stavolta il nostro obiettivo ha messo a fuoco due registi iraniani, Mehrdad Hasani e Hossein Khashayar Pirelmi, autori premiati ed apprezzati nella scorsa edizione del Festival (2023) per due film, rispettivamente “Adjustment” e “Freedom Morning”, che colpirono le nostre Giurie e che eravamo già riusciti a portare in alcune manifestazioni che sono solite riproporre i film premiati a Napoli.

Faticosa è stata la gestazione del tour italiano che abbiamo organizzato, come di consueto, per i nostri ospiti. La richiesta dei visti alla nostra Ambasciata di Teheran ha richiesto quasi 4 mesi di attesa e numerosi scambi informativi. Questo ci ha costretto a spostare il consueto appuntamento di maggio/giugno ad ottobre e quindi ad un passo dal nostro XVI Festival, ma anche questa apparente difficoltà ci ha consentito di entrare sulla scena italiana nei giorni dell’attacco israeliano all’Iran e quindi di sfruttare l’onda lunga dei grandi media internazionali che hanno messo l’Iran in prima pagina. Infine, grazie al coraggio e alla determinazione dei nostri ospiti, anche il problema della chiusura dello spazio aereo iraniano è stato superato con abili triangolazioni attraverso Paesi vicini e il 6 giugno, come da programma, Mehrdad e Khashayar sono atterrati all’aeroporto di Napoli per cominciare il loro lungo viaggio in Italia.

Ad attenderli due appuntamenti immediati a Salerno, uno a Napoli, ben quattro a Roma, due a Trieste e uno a Forlì prima di imbarcarsi nuovamente per il rientro a Teheran. Dieci serate tra la gente italiana, a raccontare come il Cinema può salvare i Diritti e offrire opportunità di amicizia, di scambio e di cambiamento anche nelle circostanze più difficili. I nostri due ospiti sapevano bene che, ancor più di quanto rischiano in Patria, la loro presenza in Italia e in Europa costituisce una sfida al governo e agli organi di controllo che spesso non autorizzano i loro film, ritenuti scomodi e blasfemi. Ma l’urgenza di comunicare il proprio bisogno di libertà di espressione, la necessità di raccontare le loro storie personali e della gente che soffre il loro stesso disagio, è stata più forte della paura, è il desiderio stesso di vivere che impone di parlare.

Eppure le riunioni che li hanno visti partecipare al dibattito sui loro film e sull’importanza del loro cinema sono state pacate e prive di polemiche, la loro chiarezza e sincerità era avvertibile già dalle prime risposte e quello che ci hanno trasmesso è la dignità del loro coraggio che non è incoscienza, ma consapevolezza del ruolo degli intellettuali in un grande Paese come l’Iran. Un intellettuale deve esprimere il proprio pensiero, con misurata chiarezza e grande onestà, senza nascondersi; questa è stata la lezione che ci hanno affidato.

Ma gli eventi hanno spesso ceduto il passo ai sentimenti. Memorabile è stato l’incontro con gli studenti al liceo coreutico di Salerno “Alfano I” in cui l’emozione di Pirelmi, che si è trovato in una scolaresca che gli ricordava i suoi 147 allievi della scuola di teatro di Teheran, ha toccato il cuore degli stessi ragazzi che lo hanno salutato appassionatamente, inviando baci e abbracci dopo aver ascoltato la storia dei bambini protagonisti del suo film. E non è stato meno caloroso il saluto della comunità iraniana di Roma che li ha voluti incontrare con un fuori programma al circolo Zilab di via della Lungara, dove la loro voce è risuonata forte e piena di nostalgia per le famiglie lontane, per il loro Paese lacerato da conflitti sociali e da ostilità esterne.

L’accoglienza è stata ovunque calda e fraterna per rendere omaggio al coraggio delle loro idee e dei loro comportamenti e in alcuni casi è stato possibile proiettare anche gli altri film che il Festival del Cinema dei Diritti Umani aveva tradotto e sottotitolato per far conoscere meglio la loro produzione. L’accoglienza riservata a Roma del festival Tehr, diretto dall’artista Isabel Russinova e a Trieste e Marino dai locali circoli FICC (Federazione Italiana dei Circoli di Cinema, partner del nostro Festival di Napoli) ha consentito di ampliare la rete di relazioni professionali dei due artisti e di ottenere l’attenzione delle reti RAI regionali e nazionali che li hanno intervistati. Un grazie particolare a Zahra Toufigh e a Setareh Ali Doost per l’energia spesa nell’animare l’incontro con i connazionali.

Raramente Mehrdad e Khashayar sono riusciti a spendere qualche pomeriggio nelle nostre belle città perché il ritmo del tour è stato incalzante, ma dobbiamo agli amici di Linea d’Ombra di Trieste la disponibilità che ha permesso di fargli conoscere la città che raccoglie i profughi del “game” balcanico e al gruppo di Forlì (Meet the Docs festival) una escursione sulle colline romagnole di cui sono stati felici protagonisti. A Napoli e Salerno sono state le Università Orientale e di Fisciano a curare l’ospitalità e l’incontro con gli studenti e i docenti (Ghidini e Tornesello a Napoli, Pendenza e Verderame a Salerno).

A conti fatti, il format, apparentemente precario e critico, del Caffè Sospeso ha funzionato meravigliosamente, pur tra mille difficoltà, ed anche la regia curata da Maurizio del Bufalo e dall’onnipresente amico B. alla fine è risultata efficace. Gli organizzatori, Festival di Napoli in testa, sono ora chiamati a misurarsi con una scommessa ancora più grande, quella di assicurare una struttura più stabile alla Rete per ovviare agli imprevisti che, in un tour aperto come quello che solitamente prepariamo per gli ospiti, sono dietro l’angolo.

Ma di certo la missione a cui la Rete del Caffè Sospeso assolve non è fuori dal tempo, ma è quanto mai attuale e urgente. La persecuzione del dissenso è una realtà con cui dovremo fare sempre di più i conti nel futuro e questo impegno richiederà una rete ampia e strutture sempre più affidabili, per un intervento di assistenza, ove necessiti, che sia capace di mobilitare i media e il mondo delle università e della cultura. Ci sentiamo pronti per ricominciare.
Nota: le immagini sono relative alle locandine preparate nelle città sedi del tour.