Palestina e America Latina su tutti e, in apertura, un film censurato

Il nostro Festival si conferma un caleidoscopio di opere di differenti Paesi (55 su 213 opere iscritte al concorso) e ci dà, ancora una volta, l’idea del seguito che il Cinema dei Diritti Umani ha nel mondo e la fiducia che tanti registi, giovani e non, ripongono nel nostro lavoro, un impegno fatto di paziente tessitura di reti di associazioni interessate alla tutela dei Diritti Umani e alla diffusione di opere che difficilmente entreranno nei circuiti commerciali. È il primo bilancio che viene fuori dall’esame dei risultati delle opere vincitrici, ma anche dall’ottimo livello medio dei lavori che hanno partecipato alla XV competizione.

Una certa maggiore qualità è emersa dal livello dei lungometraggi che hanno segnato la maggiore cifra di questo Festival in cui evidente è stato il peso delle guerre in corso (Ucraina e Medio Oriente), dei conflitti sociali legati allo strapotere del modello di sviluppo liberista che divora i beni comuni e l’ambiente, delle situazioni post belliche che non si ricompongono e lasciano ferite insanabili, del peso della memoria che torna a ricordarci le violenze del passato e l’importanza del coraggio di difendere i valori dell’eguaglianza e della Pace.

Non è mancata, come ogni anno, una cospicua presenza dei film iraniani che offrono uno spaccato delle gravi contraddizioni del Paese, oppresso da una dittatura di stampo religioso, in cui minori e donne soffrono per gravi limitazioni delle libertà fondamentali e i cineasti spesso ricorrono a simbologie per esprimere il disagio della quotidianità. È il caso di “Freedom Morning” con la sua favola di bambini che racconta un episodio di tanti anni fa e nasconde la tristezza del genitore in carcere, di “Football aficionado” che descrive la parabola di una donna che si traveste da uomo per seguire il suo sport preferito (il calcio) negli stadi e vince la sua battaglia, o di “Adjustement” che racconta con dolcezza ed ironia il disagio di un bambino che si sente donna. Ma l’Iran è anche presente nel film premiato dall’Ambasciata Svizzera con l’award per la Pace, “Stai fermo lì” di una regista italiana, Clementina Speranza, che racconta la vita di un rifugiato iraniano, in fuga continua dalla persecuzione delle spie e degli integralisti del suo Paese. E la persecuzione politica torna nel film “Il decreto” (The decree) della regista turco-curda Nejla Demirci in cui l’ironia è l’unico rimedio all’abuso di potere contro medici e professionisti che il regime di Erdogan attua attraverso un decreto legge. Il film è stato anche censurato dal festival di Istanbul e il nostro Festival ha per questo deciso di aprire le proiezioni delle opere in concorso con questo film cui è andato il premio Arrigoni/Mer Khamis.

Un posto di rilievo spetta ai film che descrivono la crisi climatica e le aggressioni all’ambiente e alla natura. Straordinari “Holding up the sky”, con le sue storie di sciamani che sostengono il cielo, “Lonely oaks” drammatico racconto dei giovani ambientalisti tedeschi che rischiano la vita per salvare un bosco, “The illusion of abundance” che narra delle lotte globali contro lo sfruttamento delle materie prime a fini di lucro, “Donde los ninos no suenan” che contrappone l’impossibilità di lasciare la propria terra aggredita dall’inquinamento da piombo e l’impossibilità economica di cambiare vita. E infine l’italiano “Inferno in paradiso” che mette nel mirino il Salento e la sua meravigliosa natura, dove muoiono bambini e adulti per l’inquinamento di petrolio, diossina e glifosato.

Un merito speciale va ai due film argentini che raccontano il Novecento dell’America latina con i furti di bambini di “Se busca” e col lavoro di ricerca instancabile delle Nonne di Plaza de Mayo, e la parabola dell’anarchico Osvaldo Bayer, lunga un secolo, nel formidabile “El testigo” in cui la sua amica Norma Fernandez descrive la vita del mitico profeta, tra le lotte instancabili del popolo della Patagonia e le ideologie libertarie.

Anche le tematiche LGBT+ hanno trovato significativi riscontri con “KENYA” e “Future comes at right time” mentre il ricordo indelebile della guerra affiora in “Fuori dai confini” con la storia dei confini italo sloveni del secondo dopoguerra,  con “Reznica” che fa rivivere i ricordi laceranti delle recenti guerre balcaniche  e con l’eterno conflitto israelo palestinese di “Notes on displacement” o dello splendido “Sarura” che racconta del pacifismo che alberga tra i due popoli e la storia di un villaggio restituito ai palestinesi nonostante l’occupazione israeliana. Come nella storia argentina dei nipoti ritrovati, anche nel Medio Oriente insanguinato dalle vendette e dagli odi razziali, un lume di speranza si accende, e la pace e la tolleranza, la ricerca del prossimo a tutti i costi, possono dimostrare di essere il rimedio ai danni provocati dall’odio.

Infine un successo commovente ha avuto la poesia di “Black frame in my eyes” che sfida la guerra con la forza della fantasia di un genitore che ha quattro figlie cieche; un contraltare alla dura realtà di “Manifesto”, racconto incredibile costruito con pezzi di riprese fatte al cellulare da studenti russi, dall’epilogo agghiacciante.

C’è stato molto realismo e un pizzico di romanticismo nei fotogrammi selezionati quest’anno dalle Giurie del XV festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, con uno sguardo disincantato all’infanzia e agli adolescenti di tanti Paesi in cui la guerra e le dittature lasciano una scia di dolore e di sfiducia nel domani. Non potrebbe esserci ritratto più realistico di questo panorama di arte e informazione che dipinge il pianeta nel XXI secolo; poi, finalmente, la nostra manifestazione è tornata ad ospitare in presenza i registi che ci assegnano da sempre un attestato di Capitale di storia, cultura e Diritti Umani, un dono che solo il grande Cinema può fare.

Dobbiamo per questo essere grati all’Università Orientale che ci ha concesso l’uso della prestigiosa Aula delle Mura Greche che si è trasformata in un vero cinema anche per l’apporto di 5 giovani tirocinanti che hanno accettato di dividere, con gli Autori del Festival e con i registi intervenuti, un percorso emozionante fatto di arte, storia, memoria e Diritti Umani. Complimenti quindi a Francesca Morello, Sara Canalella, Leila Merli, Alessandro Galeota e Claudia Coscia, con una menzione speciale per la prof.ssa Chiara Ghidini che ci ha aiutato a superare le difficoltà implicite nell’approccio del Cinema dei Diritti Umani al cuore dell’Ateneo ed anche al Rettore, prof. Roberto Tottoli, che ha creduto da subito in noi.

Infine un grazie a tutti coloro, cittadini e cittadine napoletane, che ci hanno fatto visita nei dieci indimenticabili giorni di Cinema internazionale che abbiamo voluto fortemente tenere, in questi mesi segnati da conflitti e terribili persecuzioni che hanno stravolto il mondo intero.

Il Festival non si ferma mai, neppure davanti alle curve più aspre della storia e il nostro pubblico avverte questa presenza, proprio come gli autori di tutto il mondo che trovano nella nostra città un riferimento di arte ed umanità. Un Festival può fare tutto questo.