Lo ripetiamo ogni anno, ma non per consuetudine. Se c’è un momento emozionante del nostro concorso cinematografico dedicato ai detenuti, è quello in cui gli autori vincitori incontrano le giurie di detenuti che li hanno votati. E’ il momento dello scambio diretto tra chi è dentro e chi è fuori e quasi sempre accade che i registi designati non siano mai stati in carcere, neppure per una visita educativa e così si scoprono emozionati, impacciati o terribilmente curiosi, preoccupati addirittura.

Per Maurizio ed Edoardo, i vincitori delle categorie “lungometraggi” e “corti” di quest’anno, non è proprio così. Loro il carcere lo hanno vissuto in diversi momenti della loro esistenza e ora tornano nei corridoi dei passi perduti dove la voce fa sempre eco, i passi sono sempre metallici, le voci non sono mai sommesse, ma passano dalle grida al silenzio più totale. Eppure si guardano attorno per non perdere i particolari degli ambienti, le voci degli agenti e degli educatori, il calore del sole di questa estate anomala che sembra voler bruciare gli spiazzi dei padiglioni, dove non ci sono alberi che diano frescura e ristoro.

La Casa Circondariale “Mandato” di Secondigliano ogni anno ci accoglie, con cortesia ed interesse, per completare il lavoro sviluppato nella distribuzione e proiezione dei film che proponiamo. A Secondigliano il nostro lavoro trova sicuramente ascolto ed offre un’integrazione ai programmi scolastici e formativi che vengono proposti ai detenuti che hanno deciso di ricostruire un po’ della loro vita attraverso lo studio, la ricerca della cultura, la misura della propria capacità di ascolto e apprendimento. E’ sempre un momento interessante di verifica di come il carcere può lentamente cambiare e valorizzare i profili delle persone che hanno visto la propria libertà drasticamente ridimensionata e reagiscono cercando di ritrovare il tempo perduto della loro gioventù.

Quest’anno la platea è molto giovane, tutta maschile come sempre, ma piena di segnali che ci arrivano tramite le parole, anche quelle non dette. C’è chi accenna a suonare una tastiera appena il dialogo si ferma, c’è chi compone una canzone e la canta a mezza voce, c’è chi richiama storie personali e poi ti pone una domanda e ci siamo noi tre che cerchiamo, dietro gli sguardi e le loro giovani età, di raccogliere la sincerità di ciò che ci dicono. E’ una sfida che dura poco, ma che accettiamo volentieri tanto lo sappiamo che la vera criminalità non è qui e che questi ragazzi, anche a volta maturi, non sono il vero volto del male, ma spesso il frutto della ghettizzazione di intere categorie sociali di cui anche noi siamo responsabili. Forse proprio per questo mi piacciono queste poche ore di inizio estate spese tra queste mura sventurate, perché mi danno coscienza di un egoismo sapientemente coltivato che finalmente mi mette davanti alla mia, alla nostra crudele indifferenza, alla nostra sfacciata fortuna di essere liberi e in grado di vivere senza vendersi la dignità.

E in tanti anni di frequentazione delle carceri, tra le poche cose che ho appreso, c’è l’importanza della cultura, che rende gli uomini un po’ più liberi, perché capaci di ragionare sul proprio dolore e sui propri errori come se fossero seduti su una collina, a guardare il mondo da lontano. E penso che se sapremo offrire ai detenuti la possibilità di leggere la loro condizione in questo modo, estraniandosi per qualche attimo dai dolori quotidiani, forse li aiuteremo veramente a tornare liberi, almeno di potersi guardare allo specchio senza troppa sofferenza, con un po’ di speranza in più.

Ed ecco cosa dicono Edoardo e Maurizio, i registi, di quelle ore passate insieme a discutere del valore del cinema in un’aula affollata di detenuti che, per un giorno, sono finalmente giudici del lavoro di altri.

MAURIZIO GIORDANO
16 luglio, inaspettato. Al mio arrivo in stazione a Napoli in attesa di Eduardo, apprendo che dovrò accogliere il mio collega regista perché Maurizio è in ritardo. Lo ritrovo però nel bar: è uscito dal treno, sfilandomi davanti e non conoscendolo, beh, non l’ho riconosciuto! Ricostruito il trio, con Maurizio alla guida, siamo diretti al carcere di Secondigliano. Primo riconoscimento alla sbarra, secondo all’ufficio matricola. Lasciamo cellulari e documenti. Per qualche ora, saremo come loro, i ragazzi che ci aspettano in palestra: privi dei nostri prolungamenti artificiali. Accidenti, quanti ne sono! Diversi adulti, ma la presenza di tanti giovani dietro le sbarre riesce sempre a mettermi tristezza. Quanti e quante volte ancora dovranno sbagliare perché i più piccoli smettano di emulare certi comportamenti? Lo so, è utopico. Ma gli operatori di arte visiva o spettacolo dal vivo fanno questo: invitare alla bellezza. Per non vivere tutti i giorni da recluso. Purtroppo, non basta. Sono assalito da sensazioni indefinite e contrastanti. Tre ore dopo, usciti, mi chiedo se sarò stato capace di rispondere. Avrei da fare io mille domande. Dico solo grazie a tutti per la pazienza. E grazie Maurizio, per avermi portato qui: nonostante tutto, il cinema può ancora strapparci all’orrore.

EDOARDO PERA
E’ il mattino del 16 giugno. Una lunga serie di corridoi, porte metalliche, serrature che si aprono e si chiudono sottolineano la condizione particolare in cui stiamo entrando. Alla fine facciamo il nostro ingresso nella sala teatro del carcere di Secondigliano. E’ una sala spaziosa, dove il gruppo di detenuti che ha partecipato a questa bella iniziativa del Cinema in libertà ci attende. C’è emozione direi da entrambe le parti, loro un po’ intimiditi dalla situazione e dal fare domande a me e all’altro regista Maurizio Giordano, noi dall’incontrare questo pubblico speciale. Mi viene subito da dire che il fatto che abbiano scelto il mio piccolo film è stato il premio più gradito tra quelli che ho ricevuto nei vari festival. Mi commuove che un breve film sul dolore della guerra sia arrivato al cuore di chi vive la condizione così particolare e difficile del carcere. Sono un po’ di tutte le età, ci mostrano orgogliosi un filmato sulla loro attività all’interno della Scuola alberghiera che stanno portando avanti, una piccola grande speranza per il loro futuro. Ecco, il futuro li preoccupa, il rischio di essere rifiutati, etichettati una volta usciti è molto alto. Rivolgono le loro domande a noi registi e sono molto appropriate, pertinenti, ci permettono di dire qualcosa su quello che c’è dietro i film. Rimango soltanto con un piccolo rimpianto, avrei voluto anch’io fare qualche domanda a loro, sapere di più della loro condizione, capire quanto è importante per loro avere queste finestre sull’arte, sulla cultura in quella situazione. In un passaggio sottolineo la mia fede assoluta nella frase “Non è mai troppo tardi”, racconto che ho fatto una scuola di cinema in tarda età e mentre ne parlo realizzo quanto questo sia importante per loro, con il loro desiderio di rifarsi una vita. Tempo fa un politico peraltro piuttosto discutibile come De Michelis aveva detto una volta tanto una cosa giusta: un essere umano ha diritto a più di una vita. Vero. Dovrebbe valere per tutti.

Ed ora l’ultimo atto per quest’anno. Un grazie sentito ai dirigenti di tutte le carceri napoletane che hanno chiesto di ospitare la nostra manifestazione, anche a quelli che non ci sono riusciti perché, all’ultimo momento, è intervenuta una epidemia o un incidente amministrativo a turbare il nostro progetto. Grazie davvero.

E complimenti a chi da anni ci aspetta, con emozione, per offrire ai propri allievi un attimo di confronto con l’arte e la cultura. Grazie alle educatrici di Secondigliano, in primis a Gabriella de Stefano, che ci guida da tanti anni con amorevole cura, e alla sua collega Gaia Del Giudice. E grazie anche alla Direttrice della CC, Giulia Russo, e alla Dirigente del Reparto Gabriella Niccoli. E tanti complimenti alle prof.sse dell’Istituto Alberghiero IPSEOA “Caruso” di Napoli, le instancabili Giovanna Cimmino e Antonella Capasso, che riescono a recuperare all’amore per la vita, con il loro lavoro, decine di giovani e meno giovani a cui restituiscono fiducia in sé stessi.

Arrivederci al prossimo anno, per rispondere ancora al bisogno di cultura e umanità che c’è, soprattutto, in questi luoghi.

Maurizio del Bufalo