“Mari, muri e filo spinato”, tutto pronto per la IX edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli
Diritti, solidarietà, eguaglianza, giustizia, denuncia: un filo diretto con il mondo che parte da Napoli.
E’ questo e tanto altro la IX edizione del “Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli” quest’anno ribattezzato “Mari, muri e filo spinato” che si svolgerà dal 6 all’11 Novembre. Un “palcoscenico” itinerante fatto di parole ed azioni sul quale si susseguiranno voci e testimonianze con lo scopo di (ri)accendere l’attenzione su tematiche spesso dimenticate e silenti.“Il Festival -dichiarano gli organizzatori- vuole portare ogni anno a Napoli un po’ del nostro mondo imperfetto, per ricordare che gli uomini hanno uguali diritti anche se hanno pelle diversa e sono nati sotto stelle lontane. E lo fa attraverso la voce e i colori del cinema, quello che racconta storie di gente che non si arrende e che, chissà perché, non trova posto nelle maxi-sale e in tv”.
Migranti, uranio impoverito, tortura, salute mentale: tanti i temi che si affronteranno e sviscereranno in una settimana piena di eventi tra dibattiti, proiezioni, approfondimenti e mostre fotografiche in grado di emozionare. Ospiti illustri come Erri De Luca, Ilaria Cucchi, Domenico Lucano, sindaco di Riace, e tanti altri, saranno parte integrante di un momento di discussione e riflessione collettiva.
Nelle giornate dal 6 al 10 novembre sarà possibile assistere, gratuitamente, in seconda serata, nello spazio comunale Piazza Forcella ai film selezionati per il concorso cinematografico e candidati ai premi.“Nel nostro Festival -continuano i promotori- c’è spazio per voci di donne e uomini che sognano nuove vite, ma anche per chi è rinchiuso in un braccio del penitenziario napoletano di Poggioreale; insieme a noi prenderanno forma i fantasmi degli ospedali psichiatrici. Tenteremo di capire cosa si nasconde dietro la strage dei militari italiani colpiti dalle radiazioni dell’uranio impoverito e scopriremo che la tortura, che abbiamo raccontato in tanti film sudamericani, vive anche dietro le porte chiuse di casa nostra, delle nostre caserme”.