Verità e Giustizia per la Palestina, passando (anche) per il Cinema
La guerra scatenata da Israele contro la Palestina, all’indomani dell’uccisione dei tre giovani coloni israeliani in un’area, peraltro, sotto totale controllo israeliano, è in realtà una rappresaglia violenta ed una punizione collettiva nei confronti dell’intero popolo palestinese: demolizioni, bombardamenti, arresti, cento morti e seicento feriti, senza contare l’immane devastazione, in termini di dolore e sofferenza, di raccapriccio e terrore, che questa violenza ha innescato, solo nei primi giorni della campagna militare cinicamente denominata “Barriera Protettiva”.
Questa autentica aggressione, con l’imperiosa e improvvisa devastazione scatenata, non dovrebbe semplicemente accendere i riflettori di una (ennesima) emergenza, ma soprattutto ricordare al mondo che la guerra nei Territori Palestinesi Occupati, in realtà, non è mai finita. La Cisgiordania continua a subire la violenza di una costante colonizzazione, una lacerante sottrazione di terra e di libertà, la ferita obbrobriosa del Muro dell’Apartheid. Gaza è una autentica prigione a cielo aperto, il cui confine è presidiato dalle forze militari di Israele e da cui non è praticamente possibile né entrare né uscire. I palestinesi di Gaza, in trappola e sotto le bombe, vivono la situazione più disperata.
La matrice del conflitto non è nel terrorismo palestinese, deprecabile e contro-producente, contro Israele, ma nell’occupazione israeliana. Fa sempre un certo effetto dovere ricordare, nel silenzio e nell’oblio del mainstreaming mediatico, che i Territori Palestinesi di Cisgiordania e Gaza, sin dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967, sono occupati dallo Stato di Israele, che è lo Stato occupante e, pertanto, responsabile della sicurezza, in particolare nell’area in cui è avvenuto il sequestro e l’uccisione, altrettanto deprecabile e contro-producente, dei tre giovani coloni israeliani. Il tentativo, da parte di Israele, di fare ricadere sulle spalle dell’Autorità Nazionale Palestinese, la responsabilità dell’accaduto, è un tentativo cinico e baro, una menzogna creata ad arte per giustificare la guerra, che punta a preservare lo status quo e distruggere l’unità nazionale palestinese, così faticosamente conseguita.
Oggi, nel pieno dell’aggressione israeliana contro Gaza, siamo esattamente a dieci anni dalla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia contro il Muro dell’Apartheid, costruito da Israele entro i confini della Cisgiordania, definito “contrario alla legge internazionale”, pericoloso in quanto costituisce un “fatto compiuto” che può determinare un “precedente grave”, in termini di segregazione di un popolo e di sottrazione di territorio, e “impedisce gravemente l’esercizio da parte della popolazione palestinese del suo diritto alla auto-determinazione, costituendo un’infrazione dell’obbligo di Israele a rispettare quel diritto”, riconosciuto e protetto dalla Carta delle Nazioni Unite.
La questione palestinese ha al suo centro l’occupazione militare israeliana, ed è fatta, da una parte, di apartheid e colonizzazione, dall’altra di diritti e speranze negate, a partire dal diritto di auto-determinazione e dal diritto al ritorno del popolo palestinese. Senza porre fine all’occupazione ed al colonialismo, come si comprende anche ad un’occhiata, superficiale e distratta, alla carta geografica, sarà impossibile una soluzione positiva del conflitto e il percorso pieno della pace.
Queste ragioni chiamano in causa noi tutti, la “comunità internazionale”, società civile e autorità istituzionali, complessivamente intesa. Israele non è uno “stato illegittimo” da fare scomparire dalla carta geografica; Israele è nella condizione di uno “stato criminale” che, attraverso gli strumenti del diritto e della giustizia internazionale, deve essere ricondotto nel consesso dei soggetti pari della “comunità internazionale”, né al di sopra della legge, né tributario di una grazia speciale di esenzione o di impunità. Sono circa settanta le risoluzioni delle Nazioni Unite di condanna dei comportamenti dello Stato di Israele; circa trenta le risoluzione dell’ONU violate da Israele, primo in questa “classifica”.
Serve un’assunzione di responsabilità. Ad esempio, mettendo al bando le attività economiche e i relativi investimenti nei Territori Occupati e cessando la cooperazione militare, a tutti i livelli, con Israele: bloccare la consegna a Israele dei jet M346, definiti “addestratori avanzati” ma in realtà già progettati per essere armati con missili o bombe, da usare, come è accaduto finora, prevalentemente contro i palestinesi; cancellare, sul piano della politica italiana, la cooperazione militare Italia-Israele (l. 17 maggio 2005, n. 94) e, sul piano internazionale, il programma di cooperazione individuale nel quadro della partnership NATO-Israele, varato il 2 dicembre 2008, alla vigilia di “Piombo Fuso”.
Ecco allora che il lavoro di documentazione e di solidarietà internazionale, unito a quello di contro-informazione e di sensibilizzazione pubblica, diventa decisivo. Di fronte alla portata della tragedia in corso, si è sempre portati a chiedersi cosa la cultura e il lavoro culturale possano fare. Cosa possa fare il cinema, con la potenza dei suoi mezzi espressivi e la forza della sua capacità evocativa. Nell’ultima edizione scuola del Festival del Cinema per i Diritti Umani, insieme con la presentazione dell’Atlante dei Conflitti, sono stati proiettati e discussi due film: “White Dress” ed “Engagement Ring” (Palestina 2012). Una testimonianza piccola, ma, con essa, anche un contributo significativo alla riflessione e alla conoscenza e, per questa via, alla solidarietà e al lavoro di pace e giustizia.
Come bene mette in luce una delle piattaforme di mobilitazione a sostegno della auto-determinazione palestinese e contro la guerra a Gaza, che si stanno moltiplicando negli ultimi giorni: « Opporsi a questo stato di cose non significa essere “antisemiti”, anzi, significa combattere ogni forma di razzismo, discriminazione e sopraffazione portando avanti rivendicazioni di libertà, democrazia e giustizia che accomunano tutti gli sfruttati e gli oppressi della terra, che quotidianamente lottano per conquistare diritti sociali e civili, culturali e politici; giustizia e libertà per un futuro dignitoso».