http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Memorial_for_Peace.jpg

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Note a margine dell’Arena di Pace a Verona

Alla vigilia della kermesse della “Arena di Pace e Disarmo” si moltiplicano le riflessioni destinate ad accompagnare i diversi profili tematici di quella che si annuncia come la manifestazione più importante del movimento italiano per la pace, almeno insieme alla prossima Marcia della Pace Perugia-Assisi, in programma per il 19 Ottobre, di quest’anno.

Certo, non hanno mancato di destare sconcerto alcune presenze, diciamo così, controverse, in primo luogo quella di Simone Cristicchi, già coinvolto in una lunga polemica per il carattere neo-revisionistico del suo ultimo spettacolo sul fronte orientale (“Magazzino 18”), polemiche che pure, per altro verso, hanno avuto il “merito” di rimettere attenzione sulla controversa vicenda del fronte orientale, degli episodi di guerra, della pulizia etnica fascista, delle “foibe” e delle eredità del conflitto e della liberazione. Si tratta, in ogni caso, si spunti di riflessione preziosi, che, non a caso, hanno attraversato anche le giornate e gli eventi del nostro Festival per i Diritti Umani, anche nella sua più recente Edizione Scuola.

Le vicende di guerra, dunque, tracimano, precipitando quotidianamente nel nostro presente. Intanto, le vicende del passato, che non riguardano solo il secondo, quanto oggi soprattutto il primo conflitto mondiale: basti considerare la pubblicistica, eminentemente occidentale, su cause e responsabilità dello scoppio del conflitto, le ambiguità delle kermesse internazionali che “celebrano” il centenario tra sponsor non esattamente di pace (non solo USAID) e partecipazioni non esattamente bilanciate (i serbi ampiamente esclusi), come nel caso, assai controverso, del Sarajevo Peace Event di Giugno 2014.

E poi le vicende del presente, che evidentemente continuano ad imbarazzare, anche tra le forze più consapevoli, analisi a volte superficiali e sbrigative. Basti considerare una recente presa di posizione, in merito all’invio di “forze di pace” in Ucraina, da parte di Francuccio Gesualdi, alla quale sarebbe bene ricordare, almeno, che l’intervento dei Corpi Civili di Pace può avvenire solo su una, comunque leggibile, richiesta locale; deve muoversi in una cornice di legittimità e indipendenza dalle formazioni militari sul campo; e non può e non deve prestarsi a manipolazioni ed a strumentalizzazioni di sorta.

Nel caso ucraino, che pure ha attraversato le nostre giornate del Festival, è bene ricordare che la “controparte” dei movimenti che si sono sollevati nelle regioni russofone è un governo illegittimo, salito al potere con un golpe, in cui una parte preponderante hanno avuta formazioni fasciste e naziste. Forse, non è del tutto inutile ricordare che l’azione, civile, disarmata e nonviolenta, dei Corpi Civili di Pace, si sviluppa, al tempo stesso, “sopra” e “dentro” il conflitto, e, pertanto, non può prescindere da un’attenta analisi del conflitto stesso, dai suoi presupposti e le sue motivazioni, dalle sue evoluzioni e i suoi svolgimenti, sino alla dinamica e alle conseguenze, sempre dolorose, che produce.

Anche per questo, a dispetto di quanto sbrigativamente scritto in un recente documento di alcuni enti di pace per il Servizio Civile, i Corpi Civili di Pace svolgono una «azione civile, non armata e nonviolenta di operatori professionali e volontari che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione e nella trasformazione dei conflitti. L’obiettivo degli interventi è infatti la promozione di una pace positiva, intesa come cessazione della violenza ma anche come piena affermazione di diritti umani e di benessere sociale». L’aspetto culturale e il lavoro sui sedimenti delle storie, delle narrazioni, dei vissuti, delle culture e delle memorie, è parte integrante, delicata ed essenziale, di questo lavoro.

Di conseguenza, lungi dal «partecipare a briefing periodici sulla sicurezza con missioni militari ONU e italiane nella zona di intervento» come prescrive il – talvolta strampalato – documento per il Servizio Civile, andrebbe piuttosto ricordato che «con gli attori armati – regolari e non regolari – non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove ciò non pregiudichi la legittimità nonviolenta della missione, in termini di modalità d’azione e di ricezione presso le parti».

Diciamo che anche stravolgere contenuti faticosamente condivisi per qualche fine altro non è esattamente un bel segnale. I CCP sono uno strumento importante, che parla di un altro modello di difesa civile, popolare, nonviolenta, di cui è bene e necessario avere cura, senza gettarlo nella mischia delle occasioni perdute. Anche per questo siamo tutti, al di là dei limiti e delle contraddizioni, fiduciosi negli sviluppi della Arena di Pace e Disarmo, «per essere parte del cambiamento che vogliamo vedere nel mondo».

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