Gli Indiani d’Occidente non conoscono frontiere
Napoli, 11 dicembre 2013. In un Festival del Cinema senza peli sulla lingua e senza padroni, dove la passione per le lotte più nascoste si mescola, da sempre, al desiderio di dare voce alle donne più coraggiose, una serata dedicata all’associazione Indiani d’Occidente non poteva mancare. La presidentessa Santa Rossi, scrittrice e pittrice, testimone e protagonista di una battaglia civica senza precedenti contro il “sistema” del traffico clandestino di organi umani, introdotta dall’appassionata lettura del prof. Sergio Moccia, ha spiegato con grande calma, agli studenti del corso di Diritto Penale del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Federico II, le ragioni che l’hanno spinta a cambiare il corso della sua vita e a schierarsi contro un crimine tra i più atroci ed efferati del nostro tempo.
Un po’ delle ragioni di Santa è racchiuso nel nome dell’associazione che ha fondato, un nome che è un retaggio degli anni 70, quando essere “indiani metropolitani” voleva dire spingere i giovani alla riscossa da una società senza anima, per una vita più dignitosa e più libera, tra “espropri proletari” e autoriduzioni tanto vituperate. Gli Indiani d’Occidente di oggi si battono per obiettivi meno immediati, per un mondo in cui il corpo non sia più oggetto di baratto e di speculazione e non si limitano a sognare un futuro migliore ma lottano, informano, sensibilizzano, testimoniano e rischiano in prima persona. Sono stati spesso accusati di raccontare “leggende metropolitane” sulle tecniche di espianto degli organi dai minori, dalle donne, dai migranti, insomma dalle minoranze più esposte al commercio dei loro corpi, ma hanno saputo fare controinformazione, mostrando l’omertà che sta alla base di questo indegno mercato di carne umana che produce fatturati da capogiro.
Grazie al coraggio e alla chiarezza di Santa, nel pomeriggio dello scorso 11 dicembre l’aula 28 della Federico II è stata teatro di una discussione senza precedenti che, partendo dall’esame della legge sulla donazione volontaria degli organi proposta da Rosy Bindi nel 1999 e poi decaduta dieci anni più tardi per l’ignavia dei governi successivi, è arrivata fino ai migranti di Lampedusa e agli eritrei prigionieri nel Sinai, passando per le immagini di un racconto televisivo di successo, “il commissario Montalbano”, che ha mostrato (nella puntata “il giro di boa”) come ignari bambini possano essere reclutati dai criminali e privati dei loro organi e, a volte, della vita. La realtà immaginata da Camilleri, ispirata dal rapporto perverso tra borghesia e mafia, non è molto diversa da quello che accade nei paesi più poveri della terra e il film “H.O.T.“ di Roberto Orazi ha degnamente concluso la serata, mostrando la consistenza del fenomeno in Brasile, Nepal, Cina, India, paesi emergenti dove la miseria alimenta questo crimine terribile.
E’ difficile immaginare cosa sia rimasto nella mente di tanti studenti dopo avere assistito a questa straordinaria testimonianza, peraltro di grande impatto emotivo. Ce lo dirà il tempo e lo misureremo dall’impegno dei docenti e dei magistrati a seguire questa traccia.
Al Festival resta il merito di avere acceso una luce nel buio di una storia che non sarà più considerata una favola e di avere aperto un nuovo cammino nelle istituzioni, dal Comune di Napoli alla Magistratura, che, si spera, potrà dare nuovo sostegno alla lotta degli Indiani d’Occidente e restituire ai nostri giorni un po’ della dignità umana, smarrita in un crimine senza frontiere.
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