Pensieri dalle notti argentine
Non c’è cappa grigia sopra il cielo di Buenos Aires che possa sovvertire tutta la luce che i diritti umani, attraverso immagini, uomini e parole, sono in grado di suscitare.
La mia partecipazione alla quattordicesima edizione del Festival de Cine de Derechos Umanos è iniziata così all’insegna della scoperta di un mondo intenso, dove la prima cosa che ti sorprende di questa gente e di tutto quello che le circonda è un valore che a volte si dà per sottointeso e che, invece, quando manca, lascia collassare tutto: la dignità. La dignità di sapere che c’è una lotta in corso, sempre, per chi vuole sapere la verità, per chi cerca di avere un futuro, per chi semplicemente racconta la propria storia e chiede un ascolto. E dentro ogni storia, qui al festival, ci sono sempre piccoli grandi cosmi di dignità da ricordare.
È interessante che l’organizzazione abbia puntato tutta l’attenzione della rassegna sull’identità, a partire dall’immagine del manifesto: un uomo-cane dimenticato in una tetra vasca vuota, deformazione bestiale di quanto l’uomo può giungere a essere, se trasandato, se solo, se incapace di lottare.
Identità, certo, perché non si può vivere senza sapere chi siamo e con chi viaggiamo, ma identità anche in una connotazione più flessibile, non coscienza di essere unici, ma, anzi, immagine in movimento, evoluzione della nostra sensibilità. Per questo ancora più interessante è il sottotitolo alla tematica: “Animate a descrubirla”.
In tal senso ogni film qui parla una propria lingua specifica ed è chiaro che all’interno della rassegna vi è una tale varietà di codici e linguaggi che sarebbe impossibile provare oggi a darne un quadro corretto; tuttavia, ciò che mi sento di dire, anche a nome dei miei piccoli bambini-arcobaleno di Kolkata, che il cinema qui a Buenos Aires non manca di emozione e soprattutto si muove lungo una difficile ma coraggiosa traiettoria che, oltre confini geografici e identitari, si materializza come un caleidoscopio forte e tenace.
Guardarci dentro è stato un piacere, perché anche se fuori piove, qui dentro l’arcobaleno ci ha sempre fatto compagnia.
Giuseppe Carrieri